Il governo punta ad usare parte delle riserve auree detenute da Bankitalia per sterilizzare l’Iva e risolvere i problemi di bilancio. I lingotti, però, vengono gestiti da Palazzo Koch di concerto con la Bce, e la risposta non può che essere negativa

Roma, 30 marzo 2019 – Di chi è l’oro dello Stato italiano? La prima risposta, secca, è: di Bankitalia. Che però opera nel rispetto delle regole fissate dal Sistema europeo delle banche centrali, e quindi della Bce presieduta da Mario Draghi, e dunque deve sottostarvi. Questo è quanto si evince dalle due risposte arrivate oggi da Ignazio Visco, numero uno di palazzo Koch, e, appunto, dallo stesso Draghi. Che chiudono la porta ai sogni di quanti, in primis i Cinque Stelle e Claudio Borghi della Lega (ma non è certo il primo tentativo), speravano che la vendita dei lingotti potesse risolvere i problemi di bilancio del Paese, sterilizzando l’aumento dell’Iva.Mossa che, stando agli attuali regolamenti, non si può fare: al massimo l’oro può essere utilizzato come garanzia per un prestito, come si fece negli anni ’70 con un finanziamento concesso dalla Bundesbank tedesca. 

LA RISPOSTA DI VISCO

“Nell’ambito degli indirizzi definiti dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce), la Banca d’Italia esercita le sue funzioni in autonomia e indipendenza, dando conto del proprio operato secondo il principio di trasparenza”, esordisce Visco nella sua relazione al bilancio 2018 dell’Istituto.  Dunque “i componenti dei suoi organi non possono sollecitare o accettare istruzioni ne’ da organismi pubblici, nazionali o europei, ne’ da soggetti privati. La legge del 2014 non dà alcun diritto ai Partecipanti (tra cui figurano gli istituti di credito italiani, ma anche enti come Inps e Inail, ndr) sulle riserve auree e valutarie della Banca d’Italia, la cui detenzione e gestione costituisce uno dei compiti fondamentali assegnati alle banche centrali dal Trattato sul funzionamento dell’Ue”, osserva Visco. Le riserve auree, quindi, non si toccano. Stessa spiegazione data da Draghi in una risposta scritta all’interrogazione presentata dai parlamentari europei Marco Valli e Marco Zani, pubblicata sul sito della Bce: “Come per tutti i compiti attribuiti loro dallo Statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) l’articolo 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) sancisce l’indipendenza della Bce e delle Bance centrali nazionali (Bcn) nello svolgimento di qualsiasi azione connessa alla detenzione e alla gestione delle riserve ufficiali“. 

CACCIA ALL’ORO

E’ abbastanza normale che le riserve auree dell’Italia facciano gola ai governi. Secondo le dichiarazioni ufficiali, l’Italia detiene 2.451,8 tonnellate (metriche) d’oro. Si tratta del quarto ammontare di oro al mondo dopo la Germania, gli Stati Uniti e il Fondo monetario internazionale. Questo oro – formato da lingotti d’oro puro e monete provenienti da varie parti del mondo e risalenti ad epoche diverse – non è tutto detenuto a palazzo Koch, anzi: 1.200 tonnellate stanno a Roma, mentre l’altra metà si trova alla Federal Reserve Bank di New York. Altre piccole fette sono custodite a Londra, presso la Banca d’Inghilterra, a Berna, nei forzieri della Banca Nazionale Svizzera per conto della Banca dei Regolamenti Internazionali (in pratica, la banca delle Banche centrali).

PERCHÈ L’ORO È DI BANKITALIA?

La ragione è storica. Fino agli anni ’60 le riserve auree erano detenute dall’Ufficio Italiano dei Cambi (Uic), autorità fondata nel 1945 il cui compito principale era quello di gestire le riserve valutarie straniere (oro compreso) dell’Italia. Poi, iniziarono pesanti trasferimenti di oro dall’Uic a Bankitalia, oltre 1.800 tonnellate metriche. A quel punto, la funzione principale dell’istituto diventò la gestione delle riserva valutarie e non delle riserve auree, e nel gennaio del 2008 l’Uic trasferì tutte le sue funzioni alla Banca d’Italia.