Galassie lontane in un’immagine del telescopio spaziale Hubble 
(Agf/Science Photo Library) 

Niente da fare. Il valore della costante di Hubble, sembra sfuggire a una determinazione univoca. Anche con la nuova misurazione ottenuta basandosi sull’osservazione delle stelle giganti rosse dal gruppo dell’astronoma Wendy Freedman, una decana di questo ambito di studi. Il valore stimato cade nel mezzo nell’intervallo tra i valori finora più accreditati e tra loro discordanti, ma è compatibile con entrambi, data l’incertezza sperimentale.

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Lo studio era un tentativo di uscire dall’inconciliabilità che riguarda le stime di questo parametro cosmologico fondamentale che porta il nome dell’astronomo Edwin Hubble. Fu lui, alla fine degli anni venti, a osservare per la prima volta che le galassie si allontanano da noi in ogni direzione con una velocità proporzionale alla loro distanza dalla Via Lattea, la nostra galassia. Dai dati in suo possesso, Hubble ricavò una semplice legge empirica per descrivere il fenomeno con l’aiuto di una costante di proporzionalità; nota come costante di Hubble, indica il tasso di espansione dell’universo. Ora il problema è che misurazioni della costante di Hubble basate su metodi diversi ottengono valori differenti.

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Una soluzione al mistero della costante di Hubble?

Il primo metodo è basato sulle cosiddette candele standard, cioè stelle la cui luminosità assoluta è legata alla loro distanza da noi. Dalla misurazione della luminosità apparente di queste stelle è possibile quindi calcolarne la distanza dalla Terra e di conseguenza quella delle galassie vicine. Le misurazioni in questo campo si fanno sempre più raffinate: già dagli anni novanta, il gruppo di Freedman ha usato il telescopio spaziale Hubble, ricavando un valore intorno a 72 chilometri al secondo per megaparsec (il parsec è una misura di distanze astronomiche pari a circa 30.000 miliardi di chilometri, o 3,26 anni luce), con un margine di accuratezza del dieci per cento. Un’altra stima più recente pubblicata nel marzo scorso è di 74 chilometri al secondo per megaparsec, con un margine di accuratezza dell’1,91 per cento.

Il secondo metodo usa le misurazioni della radiazione cosmica di fondo, l’eco del big bang, che permea tutto lo spazio in ogni direzione. E gli ultimi dati ottenuti con il satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea forniscono una valore di 67,8 chilometri al secondo per megaparsec. Le due misurazioni quindi sono abbastanza vicine, ma tendono ad allontanarsi, in senso statistico, via via che i margini di accuratezza si restringono.

Freedman e colleghi pubblicano ora un’altra stima, basata sempre sul metodo delle candele standard, ma applicato in particolare alle stelle giganti rosse. Il valore trovato è 69,8 chilometri al secondo per megaparsec, quindi a metà strada tra i due precedenti valori, e un po’ più vicino alla misurazione di Planck. Il problema è che per ora l’accuratezza del metodo delle giganti rosse rende la nuova stima statisticamente sovrapponibile sia al valore di Planck sia al valore delle candele standard.

La questione rimane quindi sul tavolo, e solo nuove misurazioni potranno dire se sarà risolta per via sperimentale o se occorrerà ridiscutere i fondamenti delle attuali teorie cosmologiche. (red)