Se l’Amazzonia brucia è anche colpa nostra (per la carne che mangiamo e per i telefonini)

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Se il fuoco sta divorando l’Amazzonia, un po’ di colpa l’abbiamo tutti. Chi scrive questo pezzo, chi lo sta leggendo, i nostri amici e parenti. Nessuno escluso. Tutti abbiamo gettato una goccia di benzina sulle fiamme che stanno soffocando il polmone verde del nostro pianeta. E ciò che lega il disastro ambientale che si sta consumando in Sud America a tutti noi è il nostro smartphone. O meglio, il sottile filamento d’oro che al suo interno ci permette di telefonare in ogni angolo del mondo e di surfare sul web.

Per salvare l’Amazzonia, prima che boicottare la carne bovina brasiliana, come rappresaglia agli incendi appiccati dagli allevatori affamati di spazi per le loro mandrie, dovremmo insomma gettare i nostri telefonini. Gli oltre 12o milioni di apparecchi che si trovano solo nelle case degli italiani sono infatti piccole miniere di rame, ferro, argento e, appunto, oro. E «non c’è modo di far uscire l’oro delle miniere dell’Amazzoni senza distruggere la foresta», come ha dichiarato al sito BuzzFeed News Miles Silman, co-fondatore del Centro de Innovación Científica Amazónica della Wake Forest University. «Più acri si tagliano, più oro si ottiene», ha spiegato. «E il rapporto è direttamente proporzionale».

In un iPhone ci sono 0,014 grammi di oro

La fame di oro non riguarda, dunque, solo il mondo dei gioielli, che è la categoria che più ne fa richiesta. Ma anche la tecnologia. E in maniera sempre più massiccia. Piccole correnti elettriche attraversano costantemente i nostri iPhone o i computer portatili, e a portare quella corrente è appunto l’oro, ottimo conduttore di elettricità, resistente alla corrosione. Secondo uno studio del 2015 di E-waste Lab di Remedia in collaborazione con il Politecnico di Milano, un comune cellulare contiene, tra i vari metalli, 250 milligrammi di argento e 24 di oro. Per BuzzFeed News, invece, un iPhone 6 contiene solo 0,014 grammi di oro. Poca cosa, ma se sommiamo le pagliuzze d’oro che compongono i conduttori elettrici del miliardo e mezzo di smartphone venduti in tutto il mondo solo nel corso del 2018, raggiungiamo una cifra da capogiro: non meno di 335 tonnellate d’oro. E la domanda del metallo giallo per la tecnologia è destinata a crescere.

Così, la foresta pluviale amazzonica si sta trasformando nella California della corsa all’oro del 1850. E se le miniere ufficiali non riescono a stare dietro alle richieste dell’industria, in Amazzonia sta fiorendo un’economia legata all’estrazione mineraria illegale. Secondo uno studio del Centro de Innovación Científica Amazónica del 2018, l’estrazione artigianale di oro condotta da minatori indipendenti (che spesso vuole dire senza permesso estrattivo) ha sradicato quasi 250mila acri di foresta nella sola regione di Madre de Dios in Perù, dove Miles Silman concentra il suo lavoro. Un altro studio, condotto nel 2015 da ricercatori dell’Università di Puerto Rico, calcola in circa 415mila gli acri di foresta tropicale persi in tutto il Sud America a causa dell’estrazione dell’oro. In Brasile, infine, un’area lunga circa 100 metri e larga 75, l’equivalente di un campio da calcio, scompare ogni minuto, come ha dimostrato la BBC pubblicando i dati ottenuti dal monitoraggio satellitare.

Il 20% dell’oro in gioielleria è «sporco»

Per correre ai ripari, i controlli sulla filiera dell’oro sono stati intensificati. Negli Stati Uniti sono già diverse le società che commerciavano nel metallo giallo chiuse perché scoperte ad acquistare da miniere fuorilegge. Google e Apple hanno fatto sapere a BuzzFeed News di aver affidato a società esterne il controllo per garantire che le fonderie dove si riforniscono siano conformi ai regolamenti. «Se una raffineria non è in grado o non vuole soddisfare i nostri standard», ha spiegato il portavoce di Apple, «viene rimossa dalla nostra catena di fornitori. Dal 2015 abbiamo smesso di lavorare con 60 raffinatori d’oro proprio per questo motivo»

Ma l’oro «sporco» non finisce solo nell’elettronica. Un rapporto del 2015 di Ojo Publico riferisce che le aziende legate alla London Bullion Market Association, un’organizzazione internazionale che rappresenta il mercato dell’oro e ne determina il prezzo, hanno acquistato metalli preziosi da campi minerari illegali in Perù, Bolivia e Brasile. Secondo Fairtrade Gold, una delle prime organizzazioni al mondo che certificano la provenienza dei metalli preziosi da mercati etici, stima che dal 15% al 20% dell’oro che troviamo in gioielleria e nell’elettronica ha origine da estrazioni in miniere di piccole dimensioni e, dunque, spesso poco o nulla controllate.

Dal carbonio al mercurio

Va detto che le miniere hanno un impatto sulla foresta inferiore all’industria della soia o all’allevamento del bestiame, che nella loro espansione abbattono molti più acri. Ma questo solo in apparenza. Secondo Miles Silman, le emissioni di carbonio delle miniere hanno un’impronta ambientale da tre a otto volte più grande di quanto lo abbiano gli acri persi a causa delle attività estrattive. Oltre a sradicare alberi e altre piante, i minatori scavano tra i 2 e i 4 metri di profondità nel terreno, dove il suolo è ricco di carbonio. L’estrazione dell’oro impoverisce così i terreni e libera elementi che uccidono i nutrienti necessari alle piante della foresta pluviale. Ma non finisce qui. Oltre al problema della devastazione ambientale, il mercurio, usato come amalgama per separare l’oro dagli elementi di scarto, contamina l’approvvigionamento idrico e alimentare della regione. Secondo il National Institutes of Health degli Stati Uniti, l’estrazione artigianale su piccola scala dell’oro è la principale causa del mercurio rilasciato nell’ambiente. I ricercatori hanno trovato alti livelli di mercurio nelle persone che vivono lungo il confine tra Brasile e Venezuela, nella zona di Madre de Dios in Perù e in Suriname, che ora sono a rischio di sviluppare gravi patologie al sistema nervoso, digestivo e immunitario.

Nonostante i pericoli, è improbabile che l’estrazione dell’oro nella regione amazzonica rallenti. Come sappiamo, il presidente brasiliano Bolsonaro ha limitato le leggi di tutela ambientali del paese e sta lavorando per aprire maggiormente l’Amazzonia all’estrazione mineraria. La nostra generazione potrebbe dunque assistere al più grande disastro ecologico della storia. E sarebbe irrecuperabile.