Parla Fabrizio Nestola, direttore del dipartimento di Geoscienze all’università di Padova. Quelli di minor valore perché meno brillanti sono i più ricchi di “storia” e meglio raccontano il Pianeta

Alcuni diamanti “superprofondi”, quelli più ricchi di storia geologica

Ricca lo è sempre stata, ma l’edizione numero 17 di BergamoScienza si annuncia addirittura “brillante”, se non altro per la presenza di Fabrizio Nestola, giovane (classe 1972) professore di Mineralogia e direttore del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, che scientificamente tratterà di diamanti. Prendendo subito le distanze dai luoghi comuni dell’immaginario collettivo, i diamanti da milioni di dollari, privi di impurezze e irregolarità, saranno anche i migliori amici delle donne, citando una celebre canzone, ma non suscitano il minimo interesse dei fisici, per i quali questi preziosi non rivestono alcun valore geologico, in quanto proprio le imperfezioni e le ruvidità determinano la loro unicità mineralogica, che tanto li rende attraenti agli occhi degli studiosi.

Geologia e diamanti naturali: un connubio insolito che sta rivoluzionando assodate teorie sulle zone più profonde della Terra. Si sta inaugurando un nuovo approccio allo studio del pianeta?

Occorre un salto al 2013, quando – grazie allo stanziamento di un milione e mezzo di euro del Consiglio europeo delle ricerche (Erc) per lo studio delle inclusioni dei diamanti, delle profondità di formazione delle gemme e delle informazioni, fornite da tali gemme, sugli abissi terrestri – abbiamo costituito un’équipe internazionale di otto ricercatori attrezzata di strumentazioni allora di estrema avanguardia, oggi indispensabili alle nostre attività. In soli sei anni, principalmente dall’analisi dei “diamanti super profondi” sono stati rivelati aspetti del tutto inattesi sulle regioni più profondi del pianeta.

La loro unicità sta nel fatto che sono i soli oggetti naturali sulla Terra a viaggiare – da infinite profondità alla superficie – senza subire alterazioni o modifiche.

Esatto: i diamanti più profondi, e più rari, provengono da circa 800-1000 km all’interno del settore terrestre chiamato mantello inferiore (660-2900 km di profondità, a contatto con il nucleo), altri super profondi provengono dalla zona di transizione, compresa tra 410 e 660 km di profondità e, infine, la quasi totalità (99%), i diamanti litosferici, si formano tra 120/130 e 200/220 km di profondità, all’interno del mantello superiore (esteso dalla regione di contatto con la crosta terrestre, da 40 a 410 km). Nessun altro minerale o roccia è in grado di giungere da tali profondità in superficie senza compromettere le proprie caratteristiche originali durante il trasporto. Per una misura della straordinarietà di questi pezzi, si pensi che la trivellazione più profonda, eseguita ad oggi, non è andata oltre i 12 km.

Straordinari anche per longevità, considerando l’età della Terra (4,6 miliardi di anni), dei diamanti più antichi (3,6) e di quelli più recenti (90 milioni di anni).

Infatti: notando che, in media, è raro individuare pezzi più giovani di un miliardo di anni, combinando le loro età con i dati relativi alle profondità, emerge un quadro complessivo dell’evoluzione terrestre estremamente lungo in relazione al ciclo del carbonio, non ottenibile attraverso nessun’altra tipologia di indagine su ulteriori materiali naturali.

Il punto di svolta è il 2014, però, quando la collaborazione del suo gruppo di ricerca con quello canadese dell’Università di Alberta e tedesco dell’Università di Francoforte, ha portato ad una scoperta rivoluzionaria sulla geologia profonda della Terra, ampiamente ripresa da “Nature”.

All’interno di un diamante super profondo di 2 carati, proveniente dal Brasile, abbiamo individuato un cristallo di soli 0,04 mm (ringwoodite) che conteneva circa 1,4% di acqua. Dunque, un minerale che sapevamo fino ad allora presente solo in alcune meteoriti o in laboratorio come materiale sintetico, per la prima volta risultava presente sulla Terra: la sua composizione chimica rivela che deriva dalla trasformazione dell’olivina, un minerale che costituisce circa il 60% del mantello superiore. Comprimendo in laboratorio l’olivina, a pressioni e temperature proprie della fascia a 525-660 km di profondità, questa muta in ringwoodite, provando, così che il diamante brasiliano che la conteneva, si formò proprio tra 525 e 660 km di profondità, nella zona di transizione. Tuttavia, la scoperta eclatante rimaneva la presenza di 1,4% di acqua nel minerale. Considerando che, in termini volumetrici, la ringwoodite rappresenta il 35% della zona di transizione, se contenesse tutta la stessa percentuale di acqua, questa regione ne conterrebbe una quantità pari a tre volte l’oceano Pacifico. Lascio immaginare la conclusione. Non solo a grandissime profondità si trova dell’acqua, ma si trovano oceani di acqua! Tale modello riconcilia, inoltre, le teorie geodinamiche della Terra, che contemplano la possibilità di avere acqua nella zona di transizione, con l’evidenza del contenuto medio di acqua delle meteoriti, di gran lunga superiore rispetto a quello medio terrestre: discrepanza finora giustificata con una probabile perdita di acqua sulla Terra nello spazio, durante i processi di formazione del nostro pianeta.

È così. Nel 2016, in collaborazione con il Geomological Institute of America di New York ed il Carnegie Institute for Science di Washington, analizzando una serie di diamanti africani super profondi, provenienti da 400 a 700 km di profondità, abbiamo evidenziato tracce di idrogeno molecolare e metano, all’interfaccia tra le inclusioni e i diamanti in cui esse erano presenti. La scoperta – finita sulla copertina della prestigiosa rivista “Science” – pone definitivamente fine alla questione, dimostrando che la zona di transizione è idrata e fornisce il meccanismo di crescita dei diamanti giganti (come il Cullinan, il pezzo più grande al mondo, con 3107 carati), probabilmente interno a “sacche” di ferro allo stato liquido a grandissime profondità.

Nel suo viaggio nel tempo e nelle profondità arriviamo al 2018, con due altre sorprese: a marzo, in partnership con l’Università di Vancouver, scovate il diamante più profondo sulla Terra (seconda pubblicazione su “Nature”), grazie allo studio di un’inclusione di soli 0,025 mm in un diamante super profondo dalla miniera africana di Cullinan. Vista l’inclusione – per composizione e struttura atomica – simile alle perovskiti (tipologie di composti molto utilizzati in diverse applicazioni tecnologiche), avete determinato che il diamante si era formato a 800 km di profondità. E, ad agosto, dopo “Science”, anche “Nature” le dedica la copertina.

Sì, ancora grazie alla sinergia sull’asse Padova-New York-Washington, questa volta focalizzata su una rarissima categoria di diamanti, estremamente costosi, quelli blu, di cui capostipite è il famoso Hope diamond conservato presso lo Smithsonian Museum di Washington e valutato circa 225 milioni di euro. Nel corso del progetto, il team ha vagliato oltre venti diamanti blu, tra cui uno da sogno, appunto il Cullinan dream: un pezzo da 24 carati, finito all’asta nel 2016 e venduto dalla casa Christie’s New York per 22 milioni di euro. Un valore economico tale da impedire, fino al 2018, che questi oggetti blu fossero analizzati scientificamente. Il loro caratteristico colore è dovuto alla presenza di boro, i cui atomi nei diamanti possono sostituire quelli di carbonio in un rapporto variabile tra 0,1 e 10 a 1 milione: al massimo, cioè, possono esserci 10 atomi di boro per ogni milione di quelli di carbonio. Si tratta di un elemento chimico fondamentale per la vita sulla Terra, la cui principale fonte è rappresentata dagli oceani. La nostra ricerca ha inaspettatamente mostrato che anche quelli blu sono, in realtà, diamanti super profondi, e che possono viaggiare da abissi di 500 km e più.

Ma questo prova – ed è un aspetto rilevante – che è in corso un significativo e continuo riciclo di materiale terrestre superficiale fino a grandissime profondità, che poi viene riportato in superficie. Dunque, anche il boro degli oceani è lo stesso dei diamanti delle zone di transizione?

I diamanti dicono molto della lunga e misteriosa storia del nostro Pianeta e della sua evoluzione temporale. I più recenti studi sui diamanti super profondi continueranno nel processo di ricostruzione evolutiva della Terra.

Prossimo obiettivo e, presumibilmente, copertina?

Ambizioso, direi: comprendere l’origine dell’acqua sulla Terra, confrontando dati “terrestri”, raccolti sui diamanti, con quelli “extraterrestri”, ricavabili da comete e altri corpi del sistema solare.