Un disastro. E un nuovo record degli ultimi 12 anni. Tra l’agosto del 2019 e il luglio di quest’anno l’Amazzonia ha perso 11.088 chilometri quadrati di verde. Per dare un’idea di cosa significhi, Greenpeace ha fatto un esempio illuminante. Sono stati abbattuti 626 milioni di alberi. E’ come se fosse stato raso al suolo lo spazio equivalente a 1,58 milioni di stadi di calcio. Un anno fa, sempre con lo stesso paragone, si diceva che il disboscamento selvaggio della foresta pluviale era di un campo ogni minuto; adesso sono tre, ogni 60 secondi. Il dato è stato fornito dall’Inpe, l’Istituto di investigazioni speciali brasiliano che controlla la foresta con i suoi satelliti.

Di solito si tratta di stime perché le cifre ufficiali, quelle vere, vengono diffuse in ritardo. Cosa che è avvenuta adesso, e riguardano il primo semestre del 2020. L’aumento è del 9,5 per cento: l’ennesima dimostrazione degli effetti negativi della politica ambientale di Jair Messias Bolsonaro. Sono note le posizioni del presidente: il tratto di foresta amazzonica del paese appartiene al Brasile. Non al mondo. E questo lo autorizza a farne l’uso che ritiene più opportuno e utile. Il polmone che garantisce sopravvivenza al Pianeta non può e deve essere un tema internazionale. E’ una questione di sovranità che Bolsonaro rivendica in ogni occasione.

Per contrastare i taglialegna illegali e i garimpeiros che saccheggiano le ricchezze del sottosuolo ha spedito 10 mila soldati, affiancati poi dai fanti della Marina che cercano di controllare i confini impervi e porosi del Brasile. Ma è anche tollerante nei confronti delle diverse multinazionali che avanzano nel manto verde e fanno man bassa di legname. Anzi, rivendica l’aumento delle multe inflitte ai trasgressori e, proprio recentemente, ha denunciato i paesi che, a suo parere, taglierebbero in modo illegale gli alberi per esportarli poi a casa.

Amazzonia, la lotta degli invisibili per la sopravvivenza contro petrolio e virus

Denuncia e si contraddice. Perché gli ambientalisti, e non solo, gli hanno subito fatto notare che è stato proprio il nuovo capo dell’Ibama, l’Istituto nazionale dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili, nominato dal suo ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, a cancellare nel gennaio scorso il vincolo sulle esportazioni di legno che resisteva da 8 anni.

I dati sono sati diffusi da due ministri del governo. Entrambi militari, dell’ala più pragmatica e meno ideologica. Assente invece il ministro dell’Ambiente. “Non siamo qui per celebrare qualcosa”, ha dichiarato il vicepresidente, il generale Hamilton Mourão, “perché non c’è nulla da celebrare”. Lo affiancava il ministro della Scienza, Marco Pontes, primo astronauta del Brasile. Mourão ha sollecitato gli ispettori, depotenziati da Bolsonaro, a “continuare il loro lavoro guidati dalla scienza, la tecnologia e la legge”.

Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca l’Amazzonia tornerà sicuramente al centro del dibattito mondiale e nei rapporti tra Usa e Brasile. L’ambiente ha un peso enorme anche nel processo di ratifica dell’accordo commerciale tra Eu e Mercosur. La distruzione dell’Amazzonia ha superato nel 2004 i 27 mila chilometri quadrati, il triplo di oggi. Era il primo anno della presidenza Lula. Da quel momento i roghi e il disboscamento hanno iniziato a calare di numero e intensità fino a raggiungere i 4.570 km quadrati nel 2012. Da quel momento, con l’arrivo di Dilma Rousseff al potere, la corsa è ricominciata.

“Ogni giorno con le pistole puntate contro per difendere l’Amazzonia: è la nostra vita”