Un social audio che richiede un consumo radicalmente diverso da Instagram e agli altri. Le potenzialità sono enormi, sperando che non diventi il regno dei guru del personal branding.

Dopo quanto avvenuto con Signal e poi con la vicenda GameStop, un’ulteriore conferma del fatto che oggi sia Elon Musk a dettare le tendenze del mondo online si è avuta con Clubhouse, la nuova app – una sorta di radio social in cui si discute a voce all’interno di stanze tematiche – che ha da pochissimo iniziato a diffondersi anche in Italia. Nella serata di domenica 31 gennaio, il fondatore di Tesla è sbarcato sul nuovo social, ospite della stanza organizzata dal venture capitalist Marc Andreessen.

Apriti cielo: in pochi secondi oltre cinquemila persone hanno invaso il luogo virtuale dov’era appena giunto Elon Musk causando una sorta di “sold out”, tanto da far fiorire ovunque stanze – tutte strapiene – che si limitavano a trasmettere in streaming quello che Musk stava dicendo nell’altra. È stato il primo vero grande evento di Clubhouse, con risonanza globale e che ha rischiato di mandare in tilt i server del social fondato dall’imprenditore della Silicon Valley Paul Davison e dall’ex impiegato di Google Rohan Seth.

Il giorno successivo anche in Italia si è registrato un fiume di arrivi; una mole di nuovi utenti impressionante, soprattutto se si considera che questa applicazione è ancora in fase beta, disponibile solo per iOs e che si può iscrivere solo chi riceve un invito o chi, dopo essersi messo in lista d’attesa, viene fatto “entrare” da qualcuno già all’interno (è così che il 25 gennaio sono entrato anche io). Era comunque chiaro da qualche settimana che il momento di Clubhouse stesse per giungere anche per l’Europa e per l’Italia: l’hype e le chiacchiere attorno a questo nuovo social stavano già visibilmente crescendo. Lo sbarco di Elon Musk non ha fatto che velocizzare il processo, facendo balzare l’applicazione al secondo posto delle più scaricate su App Store.

Come funziona Clubhouse

Sul sito ufficiale, Clubhouse viene descritto come “un nuovo prodotto social basato sulla voce che permette alle persone, ovunque si trovino, di chiacchierare, raccontare storie, sviluppare idee, approfondire amicizie e incontrare nuove persone interessanti in tutto il mondo”. Una sintesi abbastanza accurata: fondamentalmente, Clubhouse è una app che vi permette di discutere solo ed esclusivamente a voce all’interno di stanze – principalmente tematiche, ma non per forza – che chiunque può aprire e la cui partecipazione varia da una manciata di persone a svariate migliaia (a seconda di quanto sia interessante il tema trattato e ovviamente di quanti follower hanno le persone che lanciano la stanza).

Valutata 100 milioni di dollari già quando aveva soltanto 1.500 utenti, adesso che – secondo alcune statistiche – avrebbe raggiunto i due milioni di utenti attivi ogni settimana la valutazione ha raggiunto un miliardo di dollari. Per farla breve, Clubhouse sembra essere il prossimo unicorno della Silicon Valley: la nuova startup del momento, il nuovo fenomeno social, la nuova tendenza di cui tutti parlano.

Il traino dei vip a stelle e strisce

Per quanto l’Europa sia stata travolta “come una tempesta” – anche nel senso di imprevista e improvvisa – dall’approdo di Clubhouse, in verità buona parte dell’iniziale successo di questa app è merito di un attento lancio negli Stati Uniti da parte dei fondatori. A differenza di quanto avveniva in passato, quando un social veniva buttato nella mischia e buona fortuna, Clubhouse ha invitato col contagocce alcune delle personalità più note del mondo del digitale e soprattutto dello spettacolo statunitense – tra i primissimi Oprah Winfrey, Drake, Kevin Hart, Chris Rock – ammantando questo social di un’aura di esclusività che ha contribuito ad alimentare un chiacchiericcio incessante e misterioso, in cui tanti parlavano di una app che ancora ben pochi avevano sperimentato.

Pensavo che le cose fossero andate così anche da noi, visto che – appena sbarcato su Clubhouse – mi ero trovato circondato dai soliti noti nomi di influencer, esperti di marketing e ovviamente Marco Montemagno. A quanto pare, mi sbagliavo: “In Italia non è stato programmato e i guru della comunicazione sono arrivati dopo”, mi spiega in una stanza di Clubhouse creata proprio per l’occasione Ana Maria Fella, professionista del mondo digitale e fondatrice – assieme all’illustratore Federico Cecchin (autore dell’immagine di apertura di questo articolo) e all’influencer Marta Basso – della community Clubhouse Italia. “Io sono arrivata l’8 gennaio, invitata da un influencer britannico che avevo contattato. Negli Stati Uniti è stato senz’altro pianificato, scegliendo persone ben precise, da noi è esploso spontaneamente”.

Nonostante questo, il risultato è che Clubhouse è già invaso da tutti i soliti nomi del panorama italiano dell’influencer marketing e della comunicazione. Con il risultato che la maggioranza della stanze sono a tema “growth hacking”, “monetizzazione”, “personal branding” e cose del genere. Se siete tra quelli che provano un senso di nausea non appena mettono piede su LinkedIn, il rischio di scappare da Clubhouse un secondo dopo essere atterrati è forte.  “Il problema forse è che, essendoci invitati inizialmente tra noi professionisti del settore, è nata una verticalità sulla comunicazione”, spiega ancora Ana: “Stiamo lavorando con gli altri membri del nostro team per dare una virata e creare una varietà di stanze: noi per esempio abbiamo parlato di arte, di cinema e siamo i primi a non voler creare stanze che fanno riferimento al nostro lavoro”.

Una trasformazione repentina

In effetti, nel giro di pochi giorni Clubhouse sta cambiando davanti ai miei occhi. Dove i primi giorni si attraversava una sorta di LinkedIn in versione audio e sotto steroidi, oggi è già possibile individuare con facilità stanze in cui si discute di revenge porn (discussione che tra l’altro è stata estremamente interessante), dove sceneggiatori ed esperti chiacchierano di come stia cambiando la scrittura delle serie tv e ovviamente, visto il momento, di passaporto vaccinale e di crisi di governo. Insomma, nonostante questa mattina sia incappato per prima cosa in una stanza in cui si discuteva della strategia di personal branding chiamata “op-posizionamento” (non voglio sapere cosa sia), per questo social c’è speranza.

E c’è anche potenzialità, soprattutto per merito dell’enorme contrasto tra Clubhouse e tutti gli altri social. Non è solo una questione di audio contrapposto a testi, foto e video. È soprattutto una questione di diversa modalità di consumo. Siamo abituati a usare Facebook, Instagram e Twitter a rapidissimi intervalli, mentre aspettiamo che bolle l’acqua. Estraiamo lo smartphone, diamo una scrollata, mettiamo un like, rispondiamo a un commento e mettiamo via. E poi ripetiamo questa modalità d’uso per decine o centinaia di volte al giorno.

Clubhouse è radicalmente diverso: nel momento in cui si individua una stanza che stuzzica l’interesse è richiesto di ascoltare, capire di che cosa si parla, magari intervenire. I ritmi sono inevitabilmente molto più lenti e ricordano più l’approccio che si ha nei confronti di un podcast che quello che si ha nei confronti di Instagram. “Da un lato è molto bello perché riporta al centro l’attenzione che altre piattaforme hanno tolto; qui arrivi, ascolti e presti attenzione, conferma Ana: “Dall’altra parte, siccome i contenuti sono tanti e non si possono recuperare se non vengono seguiti in diretta, il rischio di essere presi dal panico è elevato. Bisogna cercare di avere equilibrio”.

Il lancio in tempo di pandemia e di vita social limitata o assente è stato sicuramente indovinato: la caratteristica prima di Clubhouse è quella di richiedere tempo. E come lo si trova il tempo per un social di questo tipo, quando nelle nostre vite il consumo mediatico – serie tv, social tradizionali, informazione, videogiochi, libri, podcast – è già alle stelle? “A mio parere, l’evoluzione più probabile di Clubhouse va in direzione del palinsesto, spiega Marta Basso: “Selezioneremo gli eventi di qualità che appaiono nel calendario, approfittando anche del fatto che qui – a differenza per esempio di TikTok – c’è la possibilità di scegliere, di programmare e di avere un contatto diretto con le persone. Diventerà una sorta di radio social.

Un nuovo paradigma

Radio, podcast e tavole rotonde (o panel): sono questi i tre termini che più spesso si sentono utilizzare quando si cerca di fare un parallelismo con altre modalità e che danno l’idea di quanto questo strumento sia diverso dagli altri. “Personalmente, penso che Clubhouse sia la prima vera innovazione che si registra sui social da parecchio tempo a questa parte, dall’arrivo delle Storie”, prosegue Marta: “Internet è da sempre più visivo che audio, e qui il paradigma cambia. È tutto anche molto meno controllabile e controllato di quanto avviene altrove”.

Tra gli aspetti da valutare c’è quello della moderazione, che ha già creato problemi e sollevato parecchie critiche negli Stati Uniti, dove i fondatori sono stati accusati di aver sottovalutato il problema e di non aver impostato una chiara politica di moderazione. Politica tanto più necessaria in un social audio, in cui è estremamente difficile avere prove di eventuali comportamenti molesti o illegali e in cui il fatto che tutto avvenga in presa diretta rende anche più difficile intervenire.

Prima di aprire al mondo intero – anche se la sensazione è che stia già di fatto avvenendo – la comunità di Clubhouse dovrà risolvere questi problemi e probabilmente fornire sempre più potere ai moderatori esperti (siamo di fronte alla nascita di una nuova professione?). Solo il tempo ci dirà se Clubhouse sarà una sorta di social network di conversazioni stimolanti sui temi più vari o diventerà – nella più classica dinamica social – un regno di pseudo-guru dove tutti si parlano addosso fingendosi esperti di qualcosa. Per il momento, però, sembra davvero di essere di fronte a qualcosa di nuovo e dalle potenzialità inesplorate. Download qui

Download per Android da qui.