Imprenditori rapiti dall’Isis, ma era una farsa: quattro arresti

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Brescia – Il 23 maggio 2019, quando Alessandro Sandrini mise piede in Italia dopo essere stato oltre due anni e mezzo tra la Turchia e la Siria, nelle mani delle milizie qaediste, ringraziò lo Stato italiano per averlo riportato a casa. «Ci sarà tempo e modo più avanti di parlare», disse commosso. Ora si scopre che il 36enne bresciano è indagato dalla Procura di Roma per truffa e simulazione di reato. Perché il suo rapimento, stando all’accusa, fu una bufala. O meglio, l’avrebbe concordato lui stesso con due albanesi e un bresciano per spartirsi il riscatto, ma poi si trasformò in un rapimento reale, perché rimase davvero prigioniero dei jihadisti, cui fu ceduto. Ieri sono finiti in carcere i presunti organizzatori della messinscena, tutti di stanza a Brescia, gli albanesi Fredi Frrokaj, 42 anni, di Flero, Olsi Mitraj, 41 anni di Gussago, e Alberto Zanini, 54 anni, di Mazzano. Il gip Paola Dalla Monaca, sulla scorta dell’inchiesta di Sco e Ros, contesta loro due sequestri con finalità di terrorismo in concorso con altri complici, tuttora ignoti, operanti tra Italia, Siria e Turchia, aderenti ai terroristi di Hay’ at Tahir a-Sham.

Il presunto boss Frrokaj avrebbe indotto a recarsi ad Antiochia, sempre in Turchia, pure l’ex imprenditore bresciano Sergio Zanotti. La scusa, in quel caso, fu un viaggio per comprare dinari iracheni fuori corso. Ma anche Zanotti, in un gemellaggio anomalo di circostanze, finì in Siria, nelle mani dei jihadisti Jund Al Aqsa, che poi lo rilasciarono il 5 aprile 2019. Al trio si contesta poi un terzo rapimento, quello di un imprenditore di Rezzato in corso di identificazione, sfumato solo perché il 26 settembre 2016, giorno della partenza, il designato si tirò indietro. Riferì di avere avuto un malore. E non si presentò in aeroporto, a Orio al Serio. In tempo record la banda lo rimpiazzò con Sandrini, problemi di tossicodipendenza, vari guai con la giustizia, tanto che quando rientrò nella sua casa di Folzano (Brescia), fu posto ai domiciliari per due rapine a negozi. «Non posso credere che mio figlio Alessandro abbia organizzato tutto» si stringe nelle spalle incredulo e imbarazzato il padre Gianfranco, che allora definì il giovane nemmeno trentenne «un po’ esuberante, ma buono». Il gruppo ci mise una settimana a convincerlo a sparire per mesi all’estero col pretesto di una finta vacanza ad Adana, poi iniziata il 3 ottobre 2016.

Un progetto con cui il bresciano, che in occasione del processo per le rapine da cui uscì condannato disse di essere una «persona nuova», contava di «fare molti soldi». Agli atti c’è il racconto di un’amica cui avrebbe promesso 100mila euro al suo rientro se gli avesse tenuto il gioco coi giornali, la famiglia e le forze dell’ordine. Una volta laggiù però le carte in tavola cambiarono. Sandrini fu trasferito in Siria e consegnato al Turkestan Islamic part. Per la Procura regista di tutte le operazioni fu Frrokaj, che tenne i contatti all’estero, presenziò a Orio al Serio per controllare che l’imbarco di Sandrini scorresse via liscio, fornì i titoli di viaggio. Fu sempre lui, per l’accusa, a fare avere tramite i complici circa 10mila euro ai familiari dei due rapiti per alleggerire la loro apprensione, così che diventasse meno pressante l’impegno delle autorità italiane. Olsi e Zanini invece c’entrerebbero con la diffusione del video di Sandrini in tuta arancione sotto scacco dei miliziani, spedito da una email di un italiano residente in Svizzera, nei cui confronti sono scattate perquisizioni. Nel complesso sono dieci gli indagati – oltre ai 4, un italiano residente in Germania, un albanese, due siriani, un egiziano e un marocchino – ma l’elenco è provvisorio.