Una città assediata per una cerimonia religiosa. L’incubo della Grande Serbia che incombe sul Montenegro. Le barricate in strada dei nazionalisti montenegrini. Il presidente del Montenegro Milo Djukanovic che soffia sulle proteste, accusando la Serbia di condurre una politica espansionistica e di voler esercitare il controllo sul suo paese. Il premier del Montenegro Zdravko Krivokapic che non lo segue su questa linea e anzi lavora a ricucire con i serbi. Belgrado che rigetta l’isteria anti-serba e avverte: “Noi non vogliamo sottomettere nessuno, ma non consentiremo a nessuno di sottomettere la Serbia”.

Una barricata viene incendiata durante una protesta contro l’intronizzazione del vescovo ortodosso serbo a Cetinje, Montenegro, 05 settembre 2021. EPA/BORIS PEJOVIC

Quando a metà agosto il quotidiano Pobjeda fece trapelare la data del 5 settembre, subito partirono gli appelli alla calma della comunità internazionale, dagli Usa all’Ue. Sì perché la cerimonia di intronizzazione di Joanikije, nuovo metropolita della Chiesa serba ortodossa in Montenegro, ha preoccupato tutti sin dall’inizio.

Il personale di sicurezza scorta il patriarca Portfirije e il vescovo Joanikije fuori dal monastero di Cetinje, in Montenegro, 5 settembre 2021. REUTERS/Stevo Vasiljevic

Non stupisce quindi che oggi la cerimonia si sia svolta con estrema difficoltà, in un clima di preoccupante tensione e violenze, con scontri fra polizia e manifestanti nazionalisti anti-serbi a Cetinije, vecchia capitale del sud-ovest del Montenegro.

Le forze dell’ordine sono dovute intervenire a più riprese con gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti che lanciavano petardi, sassi, bottiglie e tutto quello che hanno trovato. Gli ingressi stradali a Cetinije sono stati bloccati da barricate erette dai manifestanti con ruspe, pneumatici, cassonetti, per impedire l’arrivo in città del metropolita e del patriarca serbo, chiamato a presiedere la liturgia religiosa.

Il patriarca Porfirije e il nuovo metropolita Joanikije hanno potuto raggiungere Cetinije solo in elicottero. Scortati da agenti armati, si sono poi diretti a piedi al monastero della città. L’autobus con il resto dei religiosi attesi alla cerimonia invece si è arreso ai blocchi stradali e ha fatto dietrofront, tornando a Podgorica, per un rito religioso parallelo nella locale cattedrale ortodossa.

Era tutto ampiamente previsto. Il ministro dell’Interno Sergej Sekulovic aveva affermato di non poter assicurare l’incolumità a Cetinje né ai giornalisti né ai cittadini, “faremo del nostro meglio per fornire sicurezza, ma in senso assoluto non possiamo garantirla al 100 per cento”.

L’allerta arriva da più lontano: basti ricordare che il 16 agosto scorso il procuratore nazionale Maja Jovanovic aveva convocato Veselin Veljovic, ex direttore della polizia montenegrina e attuale consigliere per la sicurezza del presidente Djukanovic, a seguito del suo editoriale su Pobjeda in cui incitava i cittadini alla protesta. E consigliava inoltre alla polizia di disobbedire agli ordini in occasione dell’intronizzazione di Joanikije. Perché, secondo Veljovic, è “sacro dovere e obbligo” di ogni rappresentante delle forze dell’ordine rifiutare qualsiasi ordine incostituzionale e illegale. Parole che avevano suscitato le proteste dei partiti del Governo del primo ministro Krivokapic, che aveva puntato il dito contro Veljovic, il suo “abuso di libertà di espressione” e le sue interferenze nel lavoro della polizia.

Joanikije, che subentra al metropolita Amfilohije, morto lo scorso anno per le conseguenze del Covid, è stato eletto metropolita del Montenegro dal Santo Sinodo dei vescovi della Chiesa serba ortodossa tenutosi in primavera nel Tempio di San Sava a Belgrado. La popolazione del Montenegro è per il 30% circa di etnia serba e la Chiesa ortodossa serba è diffusa e popolare. Il Montenegro non dispone ufficialmente di una propria Chiesa autonoma, e una Chiesa ortodossa montenegrina sorta nel Paese è ritenuta illegale. La nomina di Joanikije però è arrivata in un clima arroventato, esacerbato dall’approvazione, nel dicembre 2019, della nuova legge sulle libertà religiose da parte di Podgorica che prevede la possibilità per lo Stato di trasferire a sé alcune proprietà della Chiesa. Una legge varata dal Governo del partito di Djukanovic a cui il successivo Governo di Krivokapic, nato a fine 2020, ha rimesso mano apportando alcune modifiche favorevoli alla chiesa ortodossa serba. Il presidente della Repubblica l’ha una prima volta rigettata, ma la seconda volta è stato costretto a promulgarla.

Simbolicamente sulle barricate oggi c’era quindi anche il presidente della Repubblica del Montenegro Milo Djukanovic, in prima linea contro le mire espansionistiche di Belgrado. Il capo dello Stato ha ripetutamente chiesto di spostare la cerimonia in un’altra località meno simbolica. “Proteggiamo la libertà, la sovranità e la dignità del Montenegro e della sua gente”, ha scritto in un messaggio su Twitter. Secondo Djukanovic all’intronizzazione del metropolita è stata data in modo inappropriato “eccessiva importanza” in un “Paese multi religioso, laico ed europeo”. Ma alla richiesta di cambiare sede, il metropolita Joanikije però è stato irremovibile: “Si capisce che si terrà a Cetinije”. E la Metropolia montenegrina della Chiesa serba ortodossa ha definito “inaccettabile e ingiustificata” l’attribuzione di qualsiasi carattere politico alla cerimonia.

Se il presidente Djukanovic ha alzato un muro a difesa dell’identità nazionale e della piena indipendenza del Montenegro, il premier Krivokapic ha invece mantenuto una posizione molto più moderata nei confronti della Serbia. Krivokapic è un professore universitario e uno dei fondatori di un’organizzazione non governativa insieme a colleghi e intellettuali montenegrini a sostegno della chiesa ortodossa serba in Montenegro, creata proprio dopo la controversa legge sulla religione che prende di mira lo status giuridico e le proprietà della chiesa ortodossa serba.

Ecco perché è caduto sostanzialmente nel vuoto l’appello di Djukanovic a Krivokapic di “condannare i tentativi di sottomissione del Montenegro e la politica della Grande Serbia, ponendosi a difesa del Paese”. Parole stigmatizzate nei giorni scorsi dal ministro dell’interno serbo Aleksandar Vulin, che ha parlato di isteria anti-serba come non si vedeva dall’inizio degli anni Novanta. Krivokapic ha però deciso di non presenziare alla cerimonia, “non perché non vorrei, ma non voglio dare motivo di chissà cosa con la mia presenza”, come “contributo alla riconciliazione” e tentativo di “non creare un conflitto dove non c’è”.

Il presidente serbo Aleksandar Vucic oggi ha fermamente condannato gli incidenti e gli scontri di Cetinje. In dichiarazioni alla tv Prva, Vucic ha respinto le accuse del presidente Djukanovic, dicendo che la Serbia non ha alcuna aspirazione dominante e vuole avere rapporti amichevoli con il Montenegro, ma non consentirà mai che la Serbia e i serbi vengano sottomessi e umiliati, in Montenegro e in ogni altra parte. “Noi non vogliamo sottomettere nessuno, ma non consentiremo a nessuno di sottomettere la Serbia”. Vucic ha sottolineato che nessuno in Occidente reagirà con parole di condanna nei confronti del presidente montenegrino Djukanovic, poiché si consente di fare tutto quello che è contro i serbi. “Potete immaginare se fossi stato io a fare quello che ha fatto Djukanovic, in pochi secondi sarei messo in croce a Bruxelles e a Washington”. I serbi, ha osservato Vucic, per molti Paesi occidentali sono un fattore di turbativa. Vucic ha poi elogiato il Governo montenegrino di Krivokapic che ha consentito che la cerimonia si tenesse come previsto nel monastero di Cetinje.

Ma Djukanovic non molla. Denuncia la “intronizzazione violenta del metropolita”. Accusa Krivokapic di aver consentito a suo dire l’uso eccessivo della forza contro cittadini pacifici che manifestavano. “Oggi a Cetinje abbiamo assistito a una enorme vergogna della Chiesa ortodossa serba e del governo montenegrino”, ha detto il capo dello Stato, che ha parlato di “vittoria di Pirro del governo” al servizio a suo avviso degli interessi di Belgrado e del nazionalismo serbo contro il Montenegro.