1999 la Nato inizia a violare i patti,
invitando e inglobando Polonia,
Repubblica Ceca e Ungheria anche se la
Russia è in ginocchio e non presenta alcuna minaccia.
Mosca protesta ma non ha la forza di reagire.
La seconda mossa della Nato contro la Russia è l’attacco al principale
alleato di Mosca in Europa,
la Serbia di Slobodan Milošević.
Bombardata per 11 settimane senza alcun mandato dell’ONU,
il bilancio sarà tra i mille e i cinque mila morti,
quasi tutti civili,
e un fiume
di profughi.
La Nato non la chiama guerra ma operazione di ingerenza
umanitaria.
Yeltsin protesta.
È il primo segnale di cosa potrebbe accadere se la Nato arrivasse ai confini
della Russia.
Le fiamme della guerra potrebbero bruciare per tutta l’Europa.
Ma non ha la forza neanche stavolta di reagire.
È vecchio e malandato e le sue folli liberalizzazioni suggerite dal Fondo
Monetario hanno messo il paese in ginocchio.
Però
Yeltsin scatena la seconda guerra in Cecenia contro i ribelli separatisti e
islamisti.
Poi nomina a premier il direttore dei servizi segreti Vladimir Putin che alla
fine dell’anno lo sostituirà come presidente.
In dieci anni Putin riconquisterà la Cecenia con massacri e devastazioni
indicibili
e decine di migliaia di morti su entrambi i fronti.
Intanto però avvierà
il riscatto economico e strategico della Russia al prezzo però di un regime
sempre più autoritario e ferocemente repressivo.
2000
In Ucraina va al governo il filo occidentale Viktor Yushchenko.
2001
Attacco alle due torri al Pentagono,
11 settembre,
al Qaeda.
La Russia partecipa insieme all’Occidente alla guerra al terrorismo
islamista e concede alla NATO
lo spazio aereo per fare la guerra all’Afghanistan.
2002
Caduto il premier filo occidentale ucraino Yushchenko va al governo il filo
russo Viktor Yanukovych.
2003 Altro ceffone alla Russia.
George W.
Bush e i suoi alleati,
non la Francia però,
attaccano l’Iraq di un altro alleato di Mosca,
Saddam Hussein,
con il pretesto di sue inesistenti armi di distruzione di massa e di suoi
inesistenti rapporti con Osama Bin Laden.
Anche stavolta senza l’avallo
preventivo dell’ONU e anche stavolta non la chiamano guerra.
Lotta al terrorismo,
esportazione della democrazia.
Di lancio in 20 anni fra Irak e Afghanistan almeno un milione di morti.
2004 La NATO ingloba
anche la Bulgaria,
l’Estonia,
la Lettonia,
la Littuania,
la Romania,
la
Slovacchia e la Slovenia.
Il premier filo russo ucraino Yanukovych viene eletto presidente
battendo di misura
il filo occidentale Yushchenko.
Ma la Corte Suprema Ucraina annula le elezioni
per le proteste popolari
contro sospetti brogli e la rivoluzione arancione
sostenuta dagli americani.
Yushchenko,
avvelenato dalla diossina,
resta sfigurato ma sopravvive e nelle
elezioni ripetute diventa presidente.
2006 Nuovo ribaltone a Kiev.
Il filo russo Yanukovych alle elezioni politiche
batte il partito del presidente e torna primo ministro.
A Mosca viene uccisa la giornalista dissidente Anna Politkoskaya.
Non è e non sarà l’unica.
2007 Gli Stati Uniti lanciano un progetto di scudo spaziale con basi
antimissili e radar puntati sulla Russia dalla Polonia e dalla Repubblica
Ceca.
Francia e Germania sono contrarie perché è un’ennesima provocazione contro Mosca.
Putin minaccia di contropuntare
i suoi missili sulla Polonia e gli americani fanno marcia indietro.
A Monaco,
in un famoso discorso,
Putin tuona contro l’Occidente che ha violato
i patti del 1989-90.
Il presidente ucraino Yushchenko scioglie le camere
contro il premier Yanukovych che ha tentato di limitare i suoi poteri.
Manda l’Ucraina al voto anticipato e batte il partito filorusso alleandosi
con l’altra leader di estrema destra,
Yulia Timoshenko.
La Timoshenko diventa premiera e nel 2010 promuoverà il nazista Stefan Bandera
a eroe nazionale.
2008 Spinta da George W.
Bush la Nato riunisce a Bucareste il suo vertice
e annuncia che presto l’Ucraina e la Georgia diventeranno membri della Nato.
Putin commenta è una minaccia diretta alla Russia.
La Georgia attacca la
Repubblica separatista filorussa dell’Ossezia del Sud.
La Russia interviene militarmente e già che c’è
imbade anche l’altra Repubblica separatista,
l’Abkhazia.
In dieci giorni le truppe georgiane vengono ricacciate da quelle russe oltre
il confine.
2009 La Nato ingloba anche l’Albania e la Croazia.
2010 L’ex premier filorusso Yanukovych si prende la rivincita contro la
Timoshenko,
vince le elezioni presidenziali,
diventa capo dello stato
e apre un dialogo con l’Unione Europea per far centrare l’Ucraina.
La Timoshenko sarà poi condannata a sette anni per malversazione di fondi
pubblici e abuso d’ufficio.
2011 La Nato,
aggirando ancora una volta l’ONU,
attacca la Libia del colonnello Mouhamar Gheddafi,
altro alleato di Putin
che viene messo in fuga dai bombardamenti e poi brutalmente assassinato.
2013 Yanukovych per le clausole troppo stringenti imposte dal fondo monetario
in cambio di prestiti,
riforme antisociali,
aumento delle bollette,
eccetera,
non firma l’accordo tra Ucraina e Unione Europea.
Per premio Putin riduce il prezzo del gas all’Ucraina e le presta anche
15 miliardi di dollari,
ma anche gli americani tentano di comprarsi
l’Ucraina,
fomentando rivolte di piazza e mandando ingenti finanziamenti.
Il presidente Barack Obama invia a Kiev Victoria Nuland,
assistente del
segretario di Stato John Kerry per gli affari europei e asiatici,
che ha già
servito diversi padroni,
per esempio Bush,
ora serve Obama e in futuro servirà
Biden.
È l’anima nera degli americani in Ucraina.
Infatti dichiara agli americani,
noi americani abbiamo investito 5 miliardi
di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita.
Decide lei quale.
Subito dopo scoppia a Kiev la rivolta di Euromaidan contro Yanukovych e a favore
dell’ingresso nell’Unione Europea.
2014,
i primi due mesi dell’anno,
sono
segnati da violente e sanguinose proteste nazionaliste in piazza Maidan
con l’aiuto di milizie neonaziste che riducono all’impotenza la polizia e alla
fine costringeranno il presidente appena eletto Yanukovych a dimettersi e a
rifugiarsi a Mosca.
Poco dopo su YouTube viene pubblicata,
forse dai servizi
segreti russi,
una telefonata intercettata fra Victoria Nuland e
Geoffrey Payett,
abbasciatore americano in Ucraina.
I due già sanno che Yanukovych
cadrà e stanno decidendo quali dei suoi oppositori dovranno fare il premier o i
ministri del futuro governo.
L’ambasciatore dice che bisognerebbe
consultare l’Unione Europea ma la Nuland urla,
fuck the EU,
fottiamo l’Unione
Europea oppure che si fotta l’Unione Europea.
La Merkel e il presidente del
Consiglio Unione Europea,
Van Rompuy,
protestano per parole assolutamente
inaccettabili,
non però perché gli americani stanno decidendo il governo e
il futuro dell’Ucraina come se fosse una loro colonia.
A est intanto nel Donbass
si rivoltano i separatisti russofoni sostenuti dai russi.
La Crimea si
proclama indipendente e con un referendum vinto dai sì al 96 per cento
si riunisce alla Russia.
A Kiev le nuove elezioni presidenziali le vince il filo
occidentale Petro Poroshenko,
oligarca,
re del cioccolato,
ex banchiere centrale
proprietario della tv 5 canal,
che ha promesso l’apartheid per i russofoni.
Noi avremo lavoro,
loro no,
i nostri figli andranno a scuola,
i loro figli
staranno nelle cantine.
La sua nuova alleata Timoshenko,
appena
scarcerata,
ha invece chiesto di uccidere questi maledetti moscoviti e di colpirli
con le atomiche.
Nel nuovo governo filoamericano ci sono almeno quattro
ministri neofascisti.
Primo atto abolire il russo come seconda
lingua ufficiale,
uno status che ora sarà riservato soltanto all’Ucraino,
in un
paese dove il 35 per cento degli abitanti è russofono.
Il 12 maggio
miliziani neonazisti e attivisti ultranazionalisti marciano su ad essa
scatenando violenti scontri con i russofoni e incendiano la casa del
sindacato dove si sono rifugiati decine di filorussi.
Ne muoiono almeno 42 di cui
tre bruciati vivi e 10 saltando dalle finestre del tentativo di mettersi in
salvo,
ma i filorussi parleranno di oltre 150 morte e centinaia di feriti e
ustionati.
Nel referendum per l’indipendenza delle autoproclamate
repubbliche del Donbass,
il Donetsk e il Lugansk,
stravincono i sì,
ma solo la
Russia li riconosce.
Kiev manda le truppe e così fa Mosca.
Alla fine
dell’anno gli accordi di Minsk patrocinati dall’Osche prevedono il
cessato il fuoco,
scambi di prigionieri,
impegno dell’Ucraina a dare maggiore
autonomia al Donbass,
ma il presidente Poroshenko li viola subito
con una pesante operazione antiterrorismo mentre la Russia sostiene
i separatisti.
Decisivo il ruolo accanto alle truppe di Kiev degli ultranazionalisti
di Pravi Sektor,
settore destro,
e dei neonazisti del battaglione di Azov che
nel culto di Stefan Bandera esibiscono vessiglie e tatuaggi con svastiche più
o meno stilizzate.
Quando strappa i filorussi Mariupol,
l’Azov viene
integrato nella Guardia Nazionale Ucraina da Poroshenko che nella cerimonia
di primezione definisce i nazisti i nostri migliori combattenti volontari.
Inizia la lunga guerra civile del Donbass,
un conflitto per procura fra truppe
ucraine finanziate e armate da Stati Uniti e Gran Bretagna e separatisti
sostenuti da Mosca.
Bilancio in otto anni almeno 14 mila morti di cui 4.800
civili e 200.000
profughi verso la Russia.
Fra le vittime ci sono almeno 40
giornalisti di cui uno è italiano Andrea Rocchelli,
schedato dai servizi
di Kiev e poi ucciso in Donbass da un colpo di mortaio sparato contro i
civili dalle truppe ucraine.
Il governo di Kiev non ha mai collaborato con la
giustizia italiana,
anzi ha depistato le indagini attribuendo l’assassinio a
terroristi filorussi.
2015,
Accordi di Minsk 2 tra Russia e
Ucraina,
stavolta garantiti da Francia e Germania,
statuto speciale per il
Donbass,
zona cuscinetto fra Ucraina e Russia.
Ma la guerra civile continua,
la
Fondazione Russa per lo studio della democrazia invia all’osce un rapporto
sulle violenze dei servizi e dei paramilitari neonazisti ucraini in
Donbass,
non solo contro i militanti separatisti ma anche contro i civili
russofoni catturati.
Elettroshock,
torture con bastoni di ferro e coltelli,
waterboarding,
cioè simulazioni di annegamento tipo Afghanistan,
Iraq e
Guantanamo,
soffocamento con sacchi di plastica,
unghie strappate,
ossa
frantumate,
strangolamenti tramite garrota,
detta la garrota banderista in
onore dell’eroe bandera,
prigionieri spinti a forza sui campi minati o
stritolati da carri armati,
celle geludi e senza cibo,
somministrazione di
psicotropi letali,
prigionieri marchiati con svastiche e scritte SEPR,
separatista,
con lame roventi sul petto e sulle natiche dei prigionieri.
L’ONU,
l’OSCE e l’Amnesty International condanneranno più volte gli uomini neri
del battaglione Azov,
definiti dall’OSCE responsabili dell’uccisione di massa di
prigionieri,
occultamenti di cadaveri nelle fosse comuni e uso sistematico di
tecniche di tortura fisica e psicologica,
migliaia di casi mai perseguiti dal
governo e dalla giustizia ucraini.
Intanto in Siria dal 2011 gli americani
e i loro alleati,
sauditi,
emirati,
kuwait,
catare,
turchia soffiano sul fuoco
delle rivolte contro il principale alleato dei russi in medio oriente,
la
siria del dittatore Bashar al-Assad,
contestato dai ribelli filo occidentali
armati e finanziati da Washington.
E’ l’ennesima guerra civile per procura che
mira a sostituire il tiranno filo russo e filo iraniano con un fantoccio filo
occidentale.
Putin interviene militarmente per difendere le due basi
russe di Latakia e Tartus,
con grande brutalità bombardando sia lo stato
islamico dell’isis sia i ribelli anti-Assad,
radendo al suolo Aleppo e
altri roccaforti dei ribelli e usando anche armi chimiche.
Bilancio della guerra
in Siria 350.000
morti in dieci anni.
2017 anche il Montenegro entra nella
NATO.
2019 il presidente ucraino Poroshenko fa emendare la costituzione
per impegnare l’Ucraina a entrare nella NATO e nell’Unione Europea,
poi però perde
le elezioni presidenziali.
Il nuovo presidente è Volodymyr Zelenskyy,
un comico
russofono che passa per dialogante con Mosca,
che ha vinto il Ballando con le
stelle ucraino ed è diventato celebre per la serie Servant of the People sul
canale tv 1 più 1 di un oligarca di origine ebraica come lui.
Igor Kolomoyskyy,
grande azionista della banca Privat Group e presidente della squadra di calcio del
Dnipro,
re dei metalli,
terzo uomo più ricco d’Ucraina,
finanziatore di una
trentina di formazioni palamilitari di estrema destra dal battaglione Azov al
battaglione Dnipro.
L’oligarca amico di Zelenskyy risiede però in Israele da
quando il suo nemico l’ex presidente Poroshenko gli ha fatto sequestrare la
banca con l’accusa di aver rubato 5 miliardi.
Anche Zelenskyy è sospettato di
traffici finanziari e fiscali tutt’altro che chiari,
società offshore nei paradisi
fiscali e una villa non dichiarata a Forte dei Mar.
Tutto ciò risulta dai Pandora Papers,
cioè da un’inchiesta indipendente di un
pool di giornalisti internazionali occidentali.
Appena eletto Zelenskyy
promette al Parlamento la fine della guerra civile in Donbass ma non darà
mai ordine alle sue truppe di cessare il fuoco.
In compenso decreta un’offensiva
militare per riconquistare la Crimea e ribadisce la richiesta alla Nato di fare
entrare l’Ucraina quanto prima.
A novembre i quattro paesi di Minsk,
Russia,
Ucraina,
Francia e Germania firmano un nuovo accordo per uno scambio di
prigionieri e una riforma costituzionale che dia ampia autonomia al Donbass.
Ma resterà lettera morta anche quella.
L’attacco americano agli alleati di
Putin intanto prosegue e arriva in Venezuela dove il presidente rieletto
Nicolás Maduro subisce un golpe orchestrato da Trump per tentare di
rimpiazzarlo col presidente dell’Assemblea nazionale Wang Wai-Do.
2020 la Nato ingloba anche la Macedonia del Nord.
2021 Zelenskyy confisca le tv di opposizione legate al partito
Opposition Platform for Life dell’origarcha filo russo Viktor Medvedchuk
che sarà poi arrestato durante la guerra insieme alla messa fuori legge di tutti
e undici i partiti di opposizione.
L’Unione Europea protesta,
Zelenskyy
chiede alla Nato di accelerare l’ingresso dell’Ucraina per inviare un
segnale reale a Mosca perché dice la Nato è l’unica soluzione per porre fine
al conflitto.
Putin minaccia conseguenze e ammassa
100.000
uomini al confine ucraino.
Il 14 giugno il vertice Nato di Bruxelles
ribadisce il sostegno alle aspirazioni dell’Ucraina a entrare nell’Alleanza
Atlantica.
Tra giugno e settembre dell’anno scorso la Nato conduce tre
imponenti esercitazioni militari in Ucraina che pure non fa parte della Nato.
Mosca risponde con esercitazioni congiunte con l’alleata Bielorussia.
Il primo dicembre Putin chiede garanzie sul fatto che l’Ucraina non entri nella
Nato perché ciò dice comporterebbe avere missili americani nel cortile di
casa nostra.
Washington risponde picche,
porte aperte
all’Ucraina nella Nato.
E così siamo al 2022.
Il 19 gennaio il
presidente americano Joe Biden annuncia aiuti militari a Kiev per 200 milioni di
dollari e per un mese annuncia ogni giorno,
quasi che se la augurasse,
l’invasione russa dell’Ucraina.
Il 7-8 febbraio il presidente Macron,
francese,
in un estremo tentativo di mediazione strappa a Kiev e a Mosca
l’impegno a rispettare gli accordi di Minsk.
Zelensky lo conferma in una
conferenza stampa al suo fianco.
Ma l’indomani cambia idea e annuncia che
non rispetterà i patti di Minsk.
Il 10 febbraio Russia e Bielorussia avviano
manovre militari congiunte.
Il 19 febbraio altro tentativo di mediazione
disperato del cancelliere tedesco Ola Scholz,
che chiama Zelensky per chiede di
discongiurare la guerra dichiarando la neutralità dell’Ucraina e la rinuncia
alla Nato,
in cambio di un ampio accordo di sicurezza per l’Ucraina e per tutta
l’area,
firmato da Putin e da Biden.
Zelensky rifiuta dicendo che di Putin non
ci si può fidare.
Il 21 febbraio Putin accoglie la richiesta
della Duma,
il Parlamento russo,
di riconoscere le repubbliche autonome di
Donetsk e Lugansk.
Zelensky fa battute sull’invasione,
a cui non crede,
ma le sue forze armate,
schierate per un terzo davanti alla Crimea,
intensificano
i bombardamenti sul Donbass.
Il 22 febbraio Donetsk e Lugansk chiedono
aiuto a Mosca contro l’aggressione delle forze armate ucraine.
Il 24 febbraio
l’armata russa invade l’Ucraina.
E ora ne parliamo.